Iniziamo la giornata con l’intenzione di raggiungere a piedi la caldera che domina l’isola di Faial. Fuori dalla nostra finestra questo:

Scendiamo per le strade di Horta, per capire meglio quale potrebbe essere la via migliore per la nostra gita. Incontriamo un ufficio turistico situato al centro di una piazza non molto distante dalla nostra guest house. Un ragazzo giovane ci apre le porte ben prima dell’orario previsto, con grande gentilezza. Un appunto che noto è la massiccia presenza di giovani nel settore turistico, qui nelle isole e questo fa solo ben sperare…perchè tra 30 anni, quando la nostra generazione sarà a metà del suo percorso, dovremo giocare partite difficili e prendere decisioni sagge e lungimiranti per chi verrà dopo di noi.

Capiamo che anche Faial, come le altre isole, scarseggia di bus. Andiamo a fare colazione in un bel posticino adocchiato durante l’ispezione della città fatta la sera prima. Tavolini e sedie di legno ci accolgono in quello che sembra un tipico e moderno bar di una metropoli europea, ben fornito, tanto che, oltre alla colazione, prendiamo ciò che ci servirà per il pranzo. Ragazzi attaccati ai loro computer e persone che entrano ed escono, molte salutandosi come se vivessero in un paesino dove si conoscono tutti.

Usciti da lì, iniziamo la nostra camminata. Direzione: la caldera dell’isola di Faial. Una salita importante ci scalda subito le gambe, lasciandoci alle spalle Horta e il suo porto che ormai vediamo dall’alto. Attraversiamo il villaggio di Flamengos, dove ci fermiamo per visitare il giardino botanico, meta che attira migliaia di visitatori grazie alle sue collezioni esclusive: la maggior parte delle specie endemiche delle Azzorre si possono trovare qui (tanto che aiutarono anche Darwin a sviluppare la sua teoria quando passò di qui), e inoltre possiede un’esclusività: una meravigliosa collezione di orchidee donate da una coppia di finlandesi che rimasero abbacinati da questo luogo.

Dopo un video introduttivo e qualche pannello esplicativo riguardo la migrazione e colonizzazione del mondo vegetale sulle isole, entriamo nel giardino, costellato da: Dragon Tree, alberi e arbusti di erica, il cosiddetto sanguinho ed esemplari di prunus e allori, etc.

Durante la nostra visita, incontriamo questo ragazzo che avevamo già notato per le strade di Horta, sempre durante la perlustrazione della sera prima: tutto capelli ricci, baffi importanti, scarpe basse e skate sempre con sè: il mio nome è Carlos, israeliano, vivo sull’isola di Sao Miguel e lavoro nel settore agricolo. Ho iniziato come volontario nei campi e poi sono stato assunto; questa la sua presentazione (da me parafrasata).

Mi è piaciuto sin da subito il suo entusiasmo e il suo fare “take it easy”, già notato quando ci era passato vicino volando col suo skate canticchiando a ritmo della musica che usciva dalla sua cassa.

Finita la visita, che ho potuto aprezzare ancora di più grazie al sostegno della  conoscenza di Davide sul “mondo piante”, riprediamo la strada verso la caldera, che si dimostra meravigliosamente panoramica: la piana su cui si trova Flamengos ormai è sotto di noi, Horta si nasconde dietro le colline mostrandoci solo il porto; qualche cono vulcanico che punteggia la vallata e all’orizzonte sempre il Pico, che non si smentisce nel suo ruolo di guardiano: basta osservarlo per tenere sott’occhio il meteo. Sembra sia lui a regolarlo.

Più avanti incontriamo finalmente anche i tori, i grandi assenti sul resto delle isole, almeno per quello che abbiamo visto noi. Tra loro, anche qualche cavallo al pascolo.

Io intanto seguo la vibe che mi accompagna da quando mi sono svegliato e decido di godermi questi momenti, la salita e l’apertura a 360° del paesaggio attorno a me, mettendomi nelle orecchie le cuffiette, ascoltando musica “good vibes” che mi aiuta ad accendere ancora di più tutti i colori che mi stanno attorno.

Vado su di buon passo e così per le due ore successive, ritrovando lungo la strada asfaltata, i miei amati cedri giapponesi, lasciati sull’isola di Terceira.

Intorno alle 16 raggiungiamo un ampio parcheggio e un bivio. Alla mia destra vi è un tunnel, mentre sulla sinistra un sentiero inizia ad arrampicarsi in alto. Scelgo il tunnel e, quando comincio a capire cosa sto per vedere, dal cuore esclamo un “porca *roia” che rimbomba lungo tutta la cavità. Mi fermo, pieno di stupore. Mi fermo a contemplare quello che è uno scenario mistico: un cratere gigantesco si apre sotto di me, cadendo a picco dentro la caldera, dove al centro un piccolo cono lavico è rimasto superstite di un’eruzione passata. Il sole illumina la parete del cratere alla mia sinistra quando, solo qualche minuto dopo, un velo di nuvole basse si abbatte dinanzi a me e sotto di me, offuscandomi la vista.

Uno scenario che ti costringe a uscire fuori dal tempo degli uomini, dal tempo della tua vita personale. Ma ti prende per mano, addentrandoti in una dimensione profonda della Vita, dove le cose accadono all’interno di un tempo geologico che ti sussurra, come farebbe un maestro, la saggezza del Mondo; l’onnipotenza che dimora tutt’attorno a noi, la Magia di cui tutti noi facciamo parte; quella stessa Natura da cui ci sentiremo sempre attratti e sopraffatti.

Con i piedi martoriati dagli oltre 30 km di cammino, torno ad Horta prima di Davide. Ci siamo separati alla caldera e siamo scesi per due percorsi differenti. Io ho preferito fare la stessa strada asfaltata dell’andata anche se, per l’ultimo tratto, ho deviato aggirando Horta dall’alto, ritrovandomi a godere di viste straordinarie, mai sazio di contemplare il vulcano.

Stremato, mi rifugio al Peter’s Bar, quando ormai il buio è sceso su Faial. Mentre aspetto Davide, riprendo qualche energia con un pastel de nata e una piccola birra. Leggo e scrivo di questi giorni e fotografo il mio kindle aperto sul tavolo, esattamente alla pagina in cui Antonio Tabucchi descrive questo bar nel suo “Donna di Porto Pim”.

Il Peter’s Bar è uno scalo obbligatorio per tutti i naviganti. Un locale di legno tappezzato di bandiere provenienti da ogni parte del mondo con una miriade di biglietti sparsi qui e là: richieste d’imbarco scritte a mano su bigliettini volanti, di viaggiatori speranzosi di salire a bordo per la prossima traversata.

Ci fermiamo di nuovo a cena, apprezzandone di nuovo la cucina ( e aggiungo, anche la cameriera molto sorridente). Dopo aver mangiato, ad uno dei ragazzi ho anche chiesto se cercano qualcuno per la stagione estiva. Sì. Buono a sapersi.

La sera prima abbiamo parlato con quello che credo sia il nipote del fondatore del bar. La terza generazione. Parlavamo di balene ed è stato lui a dirci che durante l’inverno le balene sono molto più numerose che l’estate, è solo che non si fanno vedere. E poi, nel discorso, ci ha affermato come ormai la caccia sia storia passata, oggigiorno sostituita dall’attività turistica del whale watching…come testimoniano i relitti di alcuni denti di cetaceo incisi, dipinti ed esposti nella vetrina sotto al bancone del bar, convertiti ormai a souvenir per turisti.

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