Un giorno all’insegna delle Grotas das Torres… che purtroppo non riusciamo a visitare.

Non essere entrati all’interno di una grotta è stato l’unico rimorso. Ma forse, meglio così: un motivo in più per tornare!

Ci svegliamo nel Parque do Campismo di Madalena. Ci prepariamo e decidiamo di lasciare i nostri grandi zaini nascosti sotto i lavabi della struttura abbandonata, per essere più leggeri e goderci al meglio la passeggiata.

Costeggiando la strada del campeggio, facciamo un test per vedere se dalla strada i nostri zaini sono visibili o no. No. Quindi riprendiamo a camminare lasciandoci il mare alle nostre spalle e addentrandoci all’interno dell’isola, ripuntando lo sguardo al vulcano che ci regala visioni mistiche.

Una strada asfaltata ci fa passare attraverso un paesaggio tipicamente rurale. Un territorio ondulato che, all’inizio, ospita piccoli agglomerati di case fatiscenti, alterate a case abitate. Ricordo precisamente un momento, quando ho alzato lo sguardo e ho incrociato lo sguardo con un uomo anziano che mi osservava dalla sua piccola finestrella. Molto simile a quanto mi successe nel quartiere storico di Alfama a Lisbona…sarà un atteggiamento tutto di stampo portoghese!😉

Sempre accompagnati dagli abbai di qualche cane nel tentativo di proteggere il proprio territorio, vediamo come si susseguono molti cantieri aperti, cantieri che ritroveremo più avanti anche sul’isola di Faial. Ne è passato di tempo, ma i segni lasciati dall’ultimo forte terremoto del 1 Gennaio 1980, sono ancora più che vivi, mentre qualche panno appeso si muove al vento caldo del mattino.

Poi? Campi e mucche. Poi? Ancora campi e mucche.

Abbandoniamo la piccola frazione di Valverde e il paesaggio ci si apre davanti con il suo solito verde sgargiante, mentre le mucche pascolano libere sui campi. Ma non tutte. Alcuni recinti delimitano alcuni gruppi, ma soprattutto mamme coi propri vitelli o vitelli lasciati soli, attaccati ad una lunga catena infissa nel terreno. Ad ogni tentativo che facciamo per avvicinarci, si ritirano come se avessero paura di noi.

Ormai è qualche anno che ho deciso di non mangiare più la carne e, a vedere tali scene, il pensiero torna su molte domande ricorrenti: possiamo fare a meno di tutto questo? Chi siamo noi per avere il potere di far vivere un altro essere vivente in catene? Domande che mi pongo senza giudizio, violenza e senza puntare il dito, ma credo possano veramente essere domande importanti da porsi nel XXI secolo… vedere il mondo a colori o lasciarlo in bianco e nero…

Quindi: mucche e campi… ed anche qualche capra però. I muretti di pietra lavica ospitano tentativi di orti, vigneti senza vita o in sonnolenza per la prossima vendemmia e molti sassi che, sparsi, disegnano il territorio attorno a noi, ravvivandone la monotonia.

Sullo sfondo, l’isola di Faial da sola in mezzo al mare verso ovest, ma chi si prende la scena come al solito è sempre lui, il Pico, che custodisce il levar del sole nei cieli dell’est. Appare sempre maestoso, giocando continuamente a nascondino con le nuvole, come un bambino, travestendosi da prestigiatore divino. Perchè, alla sua vista, non si può non ricevere qualcosa di divino.

Consapevoli dell’alta probabilità di non poter visitare le Grotas das Torres, tentiamo comunque di raggiungere il centro speleologico, nonostante ci avessero già avvertito che la visita non si sarebbe potuta fare senza un minimo di 3 persone. In quel momento, sulla lista per la visita in lingua inglese, eravamo solamente io e Davide.

Arriviamo. Il sito è una struttura nuova e pulita, che ricorda un bunker , ma a cielo aperto, dove, accanto al front desk, vi è un pannello esplicativo sulla storia geologica delle isole e della grotta stessa. Purtroppo non ho preso appunti precisi, ma ricordo di aver letto che la storia delle Azzorre è relativamente recente, di otto milioni di anni. Mentre la grotta si estende per quasi 5 km.

Purtroppo ci viene confermato ciò che ci era già stato preannunciato. Nessun altro straniero si è aggiunto. Ma io rimango qualche minuto in più a parlare con le guide al desk, tentando di porre loro la “mia” domanda: esiste l’eventualità che in passato queste isole fossero un continente antico e fossero abitate da esseri umani prima di quanto pensiamo? Mi guardano come se stessi domandando una barzelletta, escludendo qualsiasi possibilità di un dialogo più approfondito, come se ci fosse una paura e un rifiuto intrinseco a mettere in discussione le proprie credenze e ciò che c’è sempre stato detto essere “la verità”; un atteggiamento che dispiace, che va contro la stessa vocazione della scienza. Mantenere quella sana e a volte anche ingenua curiosità, come ci insegna lo stupore di un bambino, non sarebbe male a volte.

Ci consigliano di attendere fino alle 14, nella speranza che chiami qualcuno per aggiungersi alla lista. Così rimaniamo per qualche momento fuori dalla struttura a decidere il da farsi; infine optiamo per farci un giro nella zona. Proseguiamo lungo la stessa strada da cui venivamo. Poco dopo imbocchiamo una stradina “di campagna”, che scopriamo essere a termine chiuso: un cancello ci sbarra la strada e ai nostri lati solo i soliti muri di pietra lavica. Ci arrampichiamo superando uno di questi, facendo una bella pausa all’ombra di alcuni alberi che si affacciano su una radura sicuramente destinata al pascolo. Ma ora tocca a noi riposarci. Leggiamo, io mi godo il bel sole sparato in faccia e i piedi nudi sull’erba, guardandomi attorno e verso all’orizzonte, che ci ricorda la nostra prossima ed ultima tappa: Faial.

Le lancette dell’orologio e il sole ancora alto nel cielo segnano le due di pomeriggio. Torniamo sui nostri passi, chiamo il centro speleologico col cellulare: la visita sarà per un’altra volta e prendiamo la decisione che raggiungeremo Faial già la sera stessa.

Torniamo a Madalena, ripercorrendo all’inverso le strade fatte la mattina stessa. Le piccole case di Valverde ora sembrano più animate: due bambini giocano a pallone dietro un basso cancello d’ingresso di una casa; li saluto, ma appaio loro come un marziano venuto da lontano; più avanti anche un ragazzo prende a calci un pallone in un vecchio e spoglio campo da calcetto in cimento con due porte fatiscenti mentre, sotto di lui, la strada scende costeggiando un ampio campo pieno di verdure invernali dove un’anziana coppia di signori lavora, china sulla terra: lei sdradica, lui picchetta la terra con uno strumento, recidendo le radici delle piante. Anche se sono lontani, posso percepire la fatica, soprattutto dell’uomo, chino in avanti non aiutato dalla sua grossa pancia, forse piena di alcol dell’unico bar del paese. Sto per fotografarli, ma subito penso che non sarebbe rispettoso: risulterebbero l’ennesima attrazione turistica, ennesimi soggetti di una bella foto paesaggistica. Così riporto il mio cellulare in tasca e continuo a camminare, osservandoli mentre mi allontano da loro. Poi alzo un braccio per salutarli e mostrarli il mio rispetto e me li lascio alle spalle, alla loro vita così lontana da quelle di molti.

Il pensiero va ai contadini di Van Gogh tra i campi di patate in Olanda e penso a lui, a Vincent, che era solito passare molto tempo con questa parte di popolo, acquisendone lo stile di vita, il loro stare al mondo: semplice e scarno. Per me, questa volta, è stata una visione in retrospettiva, nella speranza, un giorno, di poter tornare ad alzare quel braccio, salutarli di nuovo e scambiarci due parole.

Rientriamo al campeggio con addosso il sottile timore di non ritrovare i nostri zaini. Ma svanisce in un attimo. Sono ancora lì ad aspettarci. Oggi la fiducia verso il genere umano ha acquisito qualche punto in più!

Più tardi ci fermiamo al centro di Madalena per gustarci una grande merenda, approfittando delle ampie porzioni offerte dalle Azzorre; porzioni che sul continente iniziano a scarseggiare sempre di più, oltrettutto a prezzi maggiori.

Verso il tramonto, raggiungo Davide, intenzionato a farsi un bagno e raggiungiamo una delle tante piattaforme di cemento che costellano le isole in assenza di coste sabbiose. Lì mi lascio travolgere dalle onde funeste dei pensieri: la data per tornare al di qua dell’oceano si avvicina e il desiderio di organizzare le prossime mosse, però, inizia a offuscarmi la serenità che ha abitato in me fino a quel momento: cosa fare sulla via del ritorno? Cosa fare a Lisbona? Quando tornare a Roma? Passo per la Spagna?

Alle 18 abbiamo il traghetto per attraversare il braccio di mare che ci separa da Faial. Il sole sta scendendo e cominciamo a dirigerci verso il porto, quando incontriamo Elias, seduto al bar dove avevamo mangiato quel meraviglioso burger di fagioli la prima sera arrivati sull’isola di Pico; ci dice che raggiungerà Greta sull’isola di Faial nei prossimi giorni, ma prima visiterà l’isola di Sao Jorge. Ci scambiamo il numero nella speranza di prenderci una birra tutti e quattro insieme ad Horta, capitale di Faial.

Saliamo sul traghetto e, lentamente, lasciamo il porto di Madalena, abbandondo la costa plasmata dalla lava di quel vulcano che ora vediamo allontanarsi dalla nostra vista, anche se non ci lascerà soli nemmeno nei giorni a venire. Il guardiano di questi tratti di mare. Un grande saggio a cui portare rispetto e gratitudine. Ci saluta colorandosi di arancione alla sua sommità, mentre la solita gonna di nuvole lo veste alla vita come una donna prima di un ballo di gala, iniziando a ballare a ritmo della danza del tramonto. Le onde si increspano sotto lo scafo e, come un esercito in guerra, lo colpiscono senza pietà da ogni lato, mentre la bandiera portoghese svolazza in mezzo al vento dell’Atlantico e penso a come l’essere umano è buffo: trovare la bandiera di un paese che simboleggia una storia, un’idea, delle persone e un territorio che dista da queste coste 1300 km; lembi di terra che appartengono, alla fine, solamente all’oceano, custodi di storie forse molto più antiche, in un tempo in cui il concetto di Portogallo ancora non era venuto in mente a nessuno.

Approdiamo nel porto di Horta che ormai è buio. Raggiungiamo a piedi la guest house dopo aver percorso il lungomare della città. Qui alloggeremo per le ultime notti che ci aspettano su questo gruppo di isole che mi hanno aiutato a ricordarmi che ci meritiamo di sognare, anche in maniera folle…oserei dire…mitica!

Ci laviamo e usciamo alla ricerca di un posto dove mangiare qualcosa. Dopo tanto peregrinare, la risposta si trovava “sotto casa”: lo storico Peter’s Bar Sport. Una pancia di balena piena di storie…

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