Se semo fatti na bella dormita nei letti comodi e spaziosi di Fernanda!

Mi alzo nella notte a causa del rumore costante di una delle persiane che non voleva smettere di battere. La colpa è stata del vento che qui nelle isole è ospite tutto l’anno.

La mattina ci alziamo pronti per una nuova giornata. Io mi sveglio e mi fiondo sotto la doccia (quando si viaggia “a vista”, mai rifiutare l’opportunità di farsi una doccia!); rifacciamo gli zaini e li portiamo al piano di sotto da Fernanda, tentando di farle capire le nostre intenzioni: affidarle le nostre cose per la giornata e tornare a prenderle nel pomeriggio.

É sempre incredibile notare come due essere umani che non hanno una lingua in comune per comunicare… alla fine riescono sempre, in qualche modo. E così abbiamo fatto con Fernanda…sempre sorridente, serena…sarà la semplicità della vita isolana…

La salutiamo, dandoci appuntamento nel pomeriggio e scegliamo di fare colazione proprio giusto davanti la pensione di Fernanda. Entriamo nella panaderia e ci prendiamo il necessario per affrontare la giornata. Io ho optato per due belle pagnotte con semi di girasole!

Tappa successiva: fare i biglietti aerei per tornare da dove siamo partiti. Ci avviamo all’ufficio dell’ Azores Airlines e facciamo i biglietti. Partiremo dall’aereoporto di Horta, sull’isola di Faial, per atterrare, per la seconda volta, all’aereoporto di Lajes, sull’isola di Terceira e concludere il nostro soggiorno sulle isole.

Fatti i biglietti, siamo pronti per dirigerci verso la giornata che ci aspetta.  Abbiamo deciso di visitare Lajes do Pico (ricordo che lajes significa “piane”…ecco perchè si trova più volte nella nomenclatura delle isole).

Mentre aspettiamo il bus, (l’unico bus che si fa l’intero giro dell’isola due volte al giorno), incontriamo un signore di Verona, con il quale passiamo insieme l’attesa: sta facendo il giro delle isole e ci parla dell’isola di Corvo, la più lontana di tutte, nonchè la più vicina all’America. Sottolinea il selvaggio che ancora abita quell’isola, quel profumo di frontiera che da qui riusciamo solamente ad annusare a tratti.

Il bus arriva e ci dividiamo: noi andiamo verso ovest, lui dalla parte opposta.

Ci lasciamo alle spalle Madalena e usciamo dalla città, mentre il vulcano siede sulla Terra sempre alla nostra sinistra. A destra l’oceano che mai ti lascia solo. Il bus segue quasi tutto il tragitto in linea retta, mentre il Pico gioca a nascondino con le nuvole; le sue pendici si erigono accanto a noi iniziando la loro salita (…e a pensare che solo il giorno prima vedevamo tutto dall’alto..). Qualche casa cerca di reggersi sul pendio scongiurando ogni giorno il risveglio del vulcano.

La vegetazione rigogliosa ci accompagna fino a Lajes, proprio come la musica di Xavier Rudd accompagna me, seduto sul sedile del bus.

Scendiamo qualche centinaio di metri prima del villaggio, su idea di Davide. Io ho ancora nelle orecchie “Magic”, di Xavier, e canto ad alta voce a bordo strada mentre ci incamminiamo verso Lajes. (https://www.youtube.com/watch?v=7cTppP5iNeI)

Mai idea fu più azzeccata! Perchè, dopo aver comprato qualcosa da accompagnare alle pagnotte per il pranzo, scendiamo dalla strada attraverso delle scalette, che ci portano in un vicolo colorato, silenzioso, di un silenzio interrotto solo da un abbaglio di un cane.

Il vicolo termina dinanzi ad uno spiazzo, dove una particolare struttura con una ciminiera attira la mia attenzione.

Stavamo per passare oltre ma…santo spirito della curiosità! Do retta ad una vocina interiore e mi avvicino all’ingresso dell’edificio. Proviamo a vedere… why not..come dico sempre: una domanda che ti può cambiare la Vita!

Credevo fosse chiuso e invece era proprio ciò che stavo cercando! Mi avvicino e faccio per vedere dentro: una donna ci invita ad entrare…è un museo sull’industria baleniera!

Paghiamo una scemenza per fare il tour illustrato da lei stessa…ho preso appunti:

fino a non molto tempo fa, gli abitanti dell’isola di Lajes erano principalmente contadini, come molti ancora oggi, nonostante il turismo che ormai occupa l’apice della vita economica dell’isola.

Ma, nelle loro lente vite quotidiane, a volte, anche un solo minuto poteva rivelarsi fondamentale per il loro futuro: quando qualcuno lanciava il segnale dalla posizione di vedetta, tutti gli uomini del villaggio abbandonavano ciò che stavano facendo correndo verso la costa. Un soffio si era alzato dall’oceano. Era tempo di salpare contro il cetaceo.

La caccia alla balena è sempre stata l’attività più importante per gli isolani: uccidere un capodoglio significava pagare i debiti ed affrontare le spese dell’anno successivo. Il commercio dell’olio di capodoglio, fino a poco tempo fa, è stato un bene che ha sostenuto queste famiglie. Fino al 1984, quando la caccia è stata abolita. I balenieri non la presero affatto bene, tanto che in quegli anni, esattamente nel 1987, ci fu anche un’ultima grande protesta che portò all’uccisione di un cetaceo.

Poi il tempo è passato e la situazione è stata metabolizzata. Molti si sono convertiti all’attività del “whale watching”, meno violenta e più redditizia, come ci raccontava il nipote del Peter’s Bar (ma questa è una storia che vedremo più avanti).

Incredibile come una cultura, una mentalità, un modo di fare e vivere possano cambiare in soli 40 anni…pensa a quanto possiamo fare nei prossimi 40…si può fare tanto!

La caccia arrivò sulle isole importata dagli americani. Qui, alcuni ragazzi e uomini, si imbarcavano sulle navi americane per apprendistati lunghi anche anni, che gli avrebbero portati in giro per il mondo.

Fino al XX secolo, periodo in cui l’industria è arrivata a meccanicizzare i processi di lavorazione e trasformazione, l’intero lavoro veniva svolto manualmente dai locali, in maniera artigianale. L’olio di capodoglio veniva esportato principalmente in America, dove già vi erano grandi fabbriche, come a Nantucket. (Io ancora non l’ho letto, ma chi ha letto Moby Dick sa di cosa sto parlando. Herman Melville ci ha vissuto dentro tutto questo…)

Dell’animale, venivano usate tutte le parti, ma con diverse finalità: la parte grassa utilizzata per produrre olio per medicine e per la cosmetica; la carne lavorata, invece, era destinata a diventare mangime per animali o utilizzata come compost nei campi.

Infine, approdati nel XX secolo, l’industria prese sempre più piede anche in luoghi come Lajes, sostituendosi alle braccia umane: la carcassa del cetaceo veniva spinta da corde a rullo sulla banchina e lì veniva macellata; la carne e le ossa messe a bollire al vapore in enormi boiler, la cui acqua veniva riscaldata da una fornace a legna in un grande sistema ottimizzato e ben collaudato, come testimoniano i resti di questa fabbrica a Lajes do Pico che si affaccia sull’Atlantico, custodendo storie di violenza e sopravvivenza.

Al termine della visita, la signora ci invita a visitare il “gift shop”, dove trovo e compro un dvd che attira la mia attenzione: “Ilhas Mìticas”: 5 documentari che esplorano i riti e le tradizioni della gente che ha abitato e abita le isole Azzorre, durante gli equinozi e i solstizi dell’anno. Spero di trovare “indizi” interessanti…(ah…scendendo dal vulcano ieri, ho fotografato un pezzo di roccia lavica, su cui mi sembrava di notare un disegno che rassomiglia al simbolo della città di Atlantide…suggestioni? Quanto mi diverto!)

Proseguiamo l’esplorazione di Lajes: è solo un piccolo villaggio di ex balenieri, che però mi suscita immaginazione continua, che da subito mi ha suggerito storie e visioni, aiutato anche dalle foto-ritratto di alcuni balenieri esposte al museo: un progetto fotografico del 2008 che ha donato un volto alle persone che sono memoria di questo luogo e di un modo di vivere che ormai appartiene al passato.

Osservandole…il desiderio, un giorno, di poter parlare con uno di loro, si fa sempre più vivo in me.

Ci gustiamo il pranzo, più che basico (pane e cipolla), dinanzi ad una cartolina: un mulino a vento di colore rosso domina la spianata dinanzi all’oceano e da più lontano, il suono delle onde si sostituisce alle lancette dei nostri orologi.

Chiediamo informazioni su dove trovare la fermata del bus che ci riporterà indietro verso Madalena a due ragazzi. Informazione corretta. Lo attendiamo in compagnia di una nonna e la sua nipotina. Sorridono.

Sulla via del ritorno, Davide mi abbandona cadendo in un sonno profondo seduto sul suo sedile, mentre io mi metto a ridere a vedere la scena. Chiamo mio padre al cellulare ed infine mi metto ad ascoltare la terza puntata del podcast di Gianluca Gotto, che sempre mi aiuta a riflettere ed aprire il mio cuore alla Vita. (https://open.spotify.com/show/0uj2dwVPkz1QMqLgalRv48)

Recuperati gli zaini da Fernanda, la ringraziamo di cuore e ci avviamo verso l’ennesimo Parque do Campismo abbandonato durante l’inverno, per piazzare la tenda per la notte.

Ora in tenda, sempre a Madalena. Buonanotte.

LAJES DO PICO

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