Ora qui. A picco sul mare. Il sole ormai sorto da più di un’ora. Davanti a me. La piccola isola a forma di balena sullo sfondo. Un signore mi chiede se fumo, un altro che mi dice “Bom dia” e un gallo in bilico sulla scogliera. Scattate qualche foto, ma soprattutto la consapevolezza di aver trasformato in realtà una visione avuta solo qualche mese fa, di un luogo che, dal primo istante, mi risulta familiare, seguito dalla sensazione di un ritorno. La gratitudine di essere qui, in mezzo all’Oceano Atlantico, su queste terre di passaggio e d’approdo per generazioni di uomini. Un po’ il rammarico di aver saltato i solchi sulla pietra. Il dibattito interiore del viaggiare in compagnia e la difficoltà di stare “nelle cose”. Ma, nonostante tutto, è Viaggio, viaggio dell’Anima, che combatte con la mente piena di illusioni ed aspettative.
Rimani concentrato su te stesso. Sii in equilibrio e decidi chi essere, controllando ciò che puoi controllare e, respirando gravemente, lasciare andare i calcoli che ostacolano il cammino della Presenza Universale.
Terra di Atlantide. Terra di Mistero.
Queste sono le parole estratte direttamente dal mio diario, scritte davanti all’oceano, poco dopo essermi svegliato.
Non sono solito condividere esattamente pagine del mio diario. Ma, dal momento che tutto fa Viaggio, mi sembra anche giusto lasciare una finestra aperta, una finestra più profonda sulla nostra fragilità e, soprattutto, affermare che viaggiare non è andare in vacanza. Si va in vacanza per riempire dei vuoti. Si viaggia per andare verso se stessi. Per ritrovare se stessi. Perchè, se non abbiamo il coraggio di affrontare a casa i mostri che ci abitano, non lo faremo nemmeno in mezzo ad una capanna dispersi dentro una giungla o in cima al Mt Cook in Nuova Zelanda.
Rientro in ostello, prepariamo gli zaini per lasciarli in custodia a Margarida. Ultimo giorno su Terceira. Domani: isola di Pico.
Sulle spalle solo gli zaini più piccoli e una giornata da spendere tutta dedicata all’esplorazione di Monte Brazil . Ma prima di uscire dalla porta d’ingresso dell’ostello, mi fermo d’istinto a parlare 5 minuti con Margarida: le chiedo se sull’isola è facile trovare lavoro, quali possono essere le possibilità per un ragazzo di fare un’esperienza di vita sulle isole. Inoltre le chiedo se hanno bisogno di qualcuno, lì in ostello, durante l’alta stagione. Lei mi dice che fa tutto da sola lì, ma mi lascia i suoi contatti semmai dovessi tornare un giorno. La ringrazio di cuore per la sua professionalità e disponibilità, sottolineandole il fatto che non è scontato trovare persone che lavorino così bene, soprattutto in ambito turistico.
Scendo al piano di sotto, al bar, dove ci fermiamo a fare colazione e intanto risolviamo anche un ostacolo avuto nell’acquisto dei biglietti aerei per l’isola di Pico, chiamando il numero d’assistenza di Azores Airlines. Saluto con una risata il signore che mi ha servito il caffè con un’acrobazia che ancora faccio fatica a comprendere: la tazzina l’ho vista sottosopra, ma alla fine me lo sono bevuto tutto intero. O Màgico!
Usciamo di lì, diretti di nuovo verso la fortezza. Ripercorriamo di nuovo il tratto del giorno precedente, passando tra cedri, lecci e cipressi, accompagnati sempre dall’immancabile Erica Azorica, assoluta protagonista della bassa vegetazione dell’arcipelago. Poi raggiungiamo il primo miradouro , dove l’oceano si apre davanti a noi.
Percorrendo un sentiero fatto da lunghe pietre, ci troviamo davanti un piccolo edificio dove, all’inizio del XX secolo, si trovava una stazione telegrafica. Di fronte a questo, una croce di legno, che non era altro che lo strumento utilizzato per la comunicazione. Un vecchio palo di legno che ha visto la Storia e che oggi si diverte a suscitare altre visioni, altri simbolismi, per chi ha ancora la fantasia e il coraggio di immaginare. La croce, un simbolo antico come le storie degli esseri umani su questo pianeta.
Tappa successiva: Pico das Cruzinhas.
Un particolarissimo monumento militare che si affaccia sulla città di Angra do Heroìsmo, monumentale come i carri armati presenti nel luogo, sotto un’immensa croce di marmo che protegge vasti lastroni di marmo inscritti delle memorie passate. Passeggio con scarso interesse, nella ferma intenzione che fino a quando le società umane erigeranno monumenti militari, inneggiando alla guerra e abbracciando quindi l’idea dell’esercito, la coscienza di tutti noi si troverà sempre un gradino in meno sulla scala del suo vero potenziale, un singhiozzo interrotto verso un nuovo livello per la nostra Evoluzione…aspettando l’ennesima mamma in lacrime per la morte di un figlio, volato via per una guerra non sua.
Ma subito mi ristora un bellissimo azulejo (un mosaico di mattonelle di ceramiche smaltata), posto sotto la croce, che ricorda la visita di Darwin sull’isola e la sua descrizione -molto geologica- di Angra do Heroìsmo.
Sempre sotto la grande croce di marmo, incontriamo un gruppo di 3 ragazzi olandesi. Chiacchierando, capiamo che sono lì per svolgere un lavoro per alcuni aerei militari della NATO in arrivo dagli Usa, forse diretti verso l’Ucraina. (Essendo un tema complicato a causa della guerra in corso con la Russia, non ho voluto approfondire facendo loro altre domande). Sostanzialmente, ci hanno riferito che si dovevano occupare della manutenzione dei velivoli, una volta a terra, prima di ripartire per l’Europa.
Ai piedi di un monumento eretto in ricordo della seconda guerra mondiale e incontri casuali che riguardano una potenziale terza…
l lupo perde il pelo ma non il vizio, diceva qualcuno…
Salutiamo i ragazzi e ci addentriamo nella parte più selvaggia del parco, imboccando un sentiero che si getta verso l’antica caldera ormai ricoperta di verde. Inizialmente, ci fa passare attraverso lastroni di pietra lavica alternata a fitti arbusti, fino a quando incontriamo un bivio che ci guida ad un meraviglioso spot: una piccola radura in cima ad una scogliera baciata dal sole e accarezzata alla base dal moto delle onde, mentre alcuni volatili giocano con le correnti e lucertole nere fanno capolino dalle loro tane per riscaldarsi il loro sangue freddo.
Una mela a riempire lo stomaco e la visione dell’immensità oceanica come menù di metà giornata, un menù di gratitudine per poter essere dove sono…per poter continuare a viaggiare lungo questo viaggio…con la V maiuscola…
Sosta finita e torniamo sul sentiero che ci accompagna verso la foresta. Ritroviamo gli alberi ed io ritrovo i cedri giapponesi, che amo sempre di più: ricordo megalitico che la vita non è mai ferma, proprio come il seme di una pianta che, attraverso la suola di una scarpa, attraverso il becco di un uccello o ad una folata di vento, è capace di viaggiare attraverso i contenti del pianeta; riflettendo… essere nativo di un luogo è solo un’immagine relativa, un’immagine che posta dinanzi allo specchio della verità delle cose si fonde come il DNA di due esseri umani nel momento di procreare una nuova vita.
Amo così tanto questi alberi, tanto che uno lo abbraccio come un fratello. Anzi, come un nonno a cui portare rispetto.
Il terzo miradouro che incontriamo è un vecchio punto avvistamenti per cetacei. Tempo fa utilizzato per dare il via alla caccia. Oggi per ammirare la loro maestosità. Una panchina mi aiuta ad entrare in uno stato di contemplazione, mentre il sole scende verso l’orizzonte proprio davanti a me, disegnando una pennellata argentata sulle onde. Osservo l’orizzonte, monotono e spoglio, ma immagino l’Africa alla mia sinistra e il continente americano alla mia destra e, se oso spingermi fino al profondo sud, riesco a vedere anche i ghiacci dell’Antartide. Come un marinaio colto da una profonda emozione o uno scienziato che intuisce all’improvviso una formula matematica, anch’io, per un istante, mi è sembrato di percepire tutta la frammentarietà dell’esistenza e la sua semplice formula.
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