È la prima mattina che ci svegliamo nell’arcipelago. E ce la prendiamo con calma. Solita routine da campeggio: prima cosa, far prendere aria al materassino, sacco a pelo e tenda…mentre si fa colazione!
Risettiamo gli zaini, prima di dirigerci verso le vicine piscinas naturais di Biscoitos, dove tentiamo una bella e fresca immersione nell’acqua oceanica. Lì, di spiagge come noi mediterranei siamo abituati, ce ne sono poche, poichè le coste sono essenzialmente il luogo dove la lava ha incontrato il mare, solidificandosi.
Un gruppo di signore in costume è appena uscito dall’acqua. 14°gradi, ci dicono. E, aggiungono: “veniamo tutte le mattina”. Smart ladies, penso…o meglio…sagge.
Parentesi: (a fine Ottobre, in Francia, ho partecipato ad un workshop di una giornata per apprendere il Wim Hof Method – per chi non lo conoscesse: https://www.wimhofmethod.com/ – dove mi è stato detto che l’acqua inferiore ai 15° ha davvero un effetto benefico sull’organismo umano…sicuramente un’esperienza da provare! E non esito ad alzare la mano per confermarlo.)
Comunque ci immergiamo in una delle tante piscinas: acqua bella limpida e davvero rigenerante! La cosa migliore prima di intraprendere una giornata all’insegna del camminare con un bello zaino sulle spalle per tutto il giorno.
Infatti, comincia subito la salita e puntiamo verso il centro dell’isola. Sull’asfalto che inizia ad accumulare la luce del sole che sale sempre più verso lo zenit, attraversiamo le poche case di Biscoitos che si sviluppano perpendicolarmente alla strada principale, un lato verso il mare, l’altro verso il lato sud dell’isola. Lasciamo le ultime case, alcune che ospitano qualche capra e i soliti cani che fanno i guardiani in qualsiasi abitazione che puoi incontrare lungo il cammino.
La lingua nera del giovane asfalto, taglia in due la fitta foresta lussureggiante tipica delle isole, mentre osserviamo alcune ortensie secche lungostrada o qualche tipo di felce che trova la vita tra le crepe dei muretti in pietra lavica. E penso a queste piante che popolano il pianeta da un tempo che non potremmo contare sulle dita nemmeno se ci servissimo di mezzo secolo per farlo. Quasi sicuramente sono state tra le prime a popolare queste isole che sorsero geologicamente circa 8 milioni di anni fa (così mi è stato detto da una guida speleologica alla Gruta das Torres, sull’isola di Pico).
Iniziamo ad intravedere l’essenza dell’isola. Il panorama si apra nelle sue ampie vedute, fatte di pascoli sempreverdi e foreste che si sviluppano al limitare delle alture vulcaniche che formano il cuore di questo territorio oceanico.
Noi proseguiamo sulla via che taglia in due l’isola, che porta fino alla città di Angra do Heroismo, posta sul lato sud. Seguiamo la linea bianca come due autostoppisti sulla route 66, ma accompagnati dagli arbusti d’ortensie. A volte, strade di terra si aprono ai lati della strada, inoltrandosi nella campagna raggiungendo sicurmente qualche fattoria.
Successivamente, da lontano, notiamo uno spiazzo. Lo raggiungiamo e capiamo di essere arrivati al principio di uno dei tanti percorsi escursionistici che occupano l’isola, segnati sulla mappa. Decidiamo di prendere il sentiero, intenzionati ad improvvisare per la notte.
Inizialmente passiamo attraverso una macchia di arbusti, un paesaggio simili a quello che si può trovare in una pineta mediterranea, prima di giungere al limitare di una zona di caccia di volatili- perchè, ricordiamolo: la selvaggina “terrestre” non esiste sulle isole.
La costeggiamo, per poi inoltrarci in un tunnel creato dagli alberi fitti attorno a noi, costretti a saltellare sul camminamento dissestato di pietre laviche, lasciando all’esterno altri rumori, mentre siamo attorniati da grosse foglie verdi, qualche pianta che ospita fiori e frutti dal colore intenso e ascoltando qualche cinguettio che arriva dalla foresta.
Usciamo dal tunnel, incontriamo una piccola radura che è ancora umida dal mattino, nonostante il sole alto nel cielo, dove ci fermiamo per recuperare energie facendoci riscaldare dai suoi raggi, prima di entrare in quello che è stato, per me, uno dei posti più suggestivi del viaggio: una meravigliosa, quasi mistica, foresta di cedri giapponesi.
Ci sembra di entrare in un’altra dimensione, mentre tronchi giganti si stagliano in altezza attorno a noi. Ricordano le grandi conifere dell’ovest americano. Il terreno del sottobosco è morbido, soffice da rimbalzarci. Ci guardiamo attorno per scovare il sentiero da seguire, quando proseguiamo in avanti e troviamo un piccolo specchio d’acqua che si spegne davanti a noi. Lo ripercorriamo all’indietro, fino a quando raggiungiamo un bellissimo ponte di legno pulito, che ci permette di passare sull’altra sponda lungo il sentiero che ora inizia a salire, assistendoci con una serie di gradoni che formano delle vere e proprie scale. A volte mi fermo, ci fermiamo, lasciandoci invadere e pervadere dal quel silenzio che solo il bosco ti può donare: ti guardi attorno e tutto ti sussurra la tua piccola presenza; un ramo che si muove poco lontano, mosso da un volatile e l’altezza dei fusti degli alberi che ti aiutano a dare verticalità al momento presente e, poco più avanti, una leggera cascata che si infrange sotto la parete, ricordandoti dell’impermanenza di questa Vita; e un albero che infila le sue radici nell’impensabile, alla ricerca della luce per sopravvivere.
Usciamo per qualche istante allo scoperto, ritrovando i vasti spazi verso l’orizzonte e la foresta davanti a noi che si dispiega come un tappeto, portando il nostro sguardo verso le nuvole lontane, osservando i diversi colori delle chiome che, paradossalmente, attraverso la malattia di qualche chioma sempreverde, ci regalano uno sprazzo d’autunno.
Rientriamo nel fitto della foresta, continuando a salire su quella che, solo poco dopo, ci rendiamo conto essere la cresta di un’enorme ed antica caldera. Continuiamo a seguire il sentiero che, ad un certo punto, inizia ad inerpicarsi quasi in verticale, tanto che alcune corde sono state fissate lungo il percorso per permettere ai passanti di scalare il tratto.
Ma, qualche istante dopo, si capisce subito che ne è valsa la pena, perchè un paesaggio suggestivo si staglia davanti a noi: un’immagine nitida di ciò che significa camminare avendo sotto i piedi dei veri e propri vulcani.
Veniamo raggiunti da una coppia di ragazzi. E con loro, termina anche quella strana e a volte piacevole sensazione di sentirsi soli, dove nessuno ti può raggiungere, che sei solo te nella vastità di un paesaggio che pare essere lontano anni luce da tutte le futili cose di cui riempiamo le nostre vite, e soprattutto le nostre menti.
Ci superano e li salutiamo, mentre intanto noi siamo indecisi su dove mettere la tenda per la notte. E il sole ormai sta scendendo…ma con colori splendidi!
Ci ritroviamo sulla “sella” della cresta del vulcano e, tra una discussione e l’altra, il vento inizia ad alzarsi e, poco dopo, accendiamo le frontali, perchè abbiamo deciso di proseguire ancora un po’: superare ancora un’altura, diretti al punto panoramico che la mappa ci indica.
Ci arrampichiamo incespicando nel fango, ma alla fine ritroviamo il suolo pianeggiante, quando riconosciamo il miradouro, ormai vicino a noi.
All’orizzonte, banchi di nuvole nere arrivano da sud e l’umidità comincia a bagnare ogni cosa. Siamo fortunati a trovare uno dei tanti muri “lavici”, che aiuta a proteggerci per la notte. Apriamo la tenda proprio dietro al muretto, accendiamo il fornelletto per la cena mentre, sotto di noi, l’immensa foresta nata dentro all’antico cratere, inizia ad addormentarsi insieme a noi.
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